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C’era una volta la Juventus C’era una volta la JuventusC’era una volta la Juventus

torino-juventus stadium 24-02-2015 -champions-league-juventus-borussia dortmund Nella foto: alvaro morata

(Alberto Sigona) – Lo scivolone di Como è solo l’ultima caduta rovinosa di una squadra che fatica da tempo a ritrovare sé stessa.

Dalla Presidenza di Andrea Agnelli a quella attuale targata Gianluca Ferrero, da Andrea Pirlo ad Igor Tudor, passando per Allegri-bis e Thiago Motta: da oltre un lustro si tenta di rinascere. Invano…

La sconfitta rimediata in quel di Como ha rinforzato con tanto di chiavistello l’uscio che da diversi anni a questa parte tiene la Juventus segregata in una dimensione non sua, decisamente modesta, totalmente estranea alla propria tradizione, ben lontana dalle proprie aspirazioni. La parabola discendente della compagnia bianconera iniziò a materializzarsi nel funesto 2020. Nell’anno in cui l’Italia ed il Mondo vivevano uno dei periodi più nefasti dell’era moderna, in casa Juve cominciava una fase di recessione destinata a caratterizzare negativamente l’ultimo quinquennio. Tutto principiò con l’avvicendamento, poi rivelatasi opzione assai infelice, tra il veterano Maurizio Sarri ed il neofita Andrea Pirlo. Sebbene già con l’ex trainer di Napoli e Chelsea si fossero iniziate ad intravedere le prime avvisaglie di riflusso, sarà con l’ex regista della Nazionale nonché “maestro” di bel calcio di Milan e della stessa Juve che la Signora inizierà ad introdursi effettivamente nell’aula della mediocrità. Degli insegnamenti sapienti profusi da giocatore non era rimasta alcuna traccia, e le sue lezioni si sarebbero rivelate quanto mai inutili e dannose alla causa. A partire dalla gestione di Pirlo, Madama avrebbe inaugurato la sua inesorabile flessione, sino a veder deprimere lestamente le proprie ambizioni, con le illusioni che avrebbero ben presto ceduto il passo alle amarezze, di vario genere e diversa entità. Insomma, pur inconsapevolmente, per la Juve era appena iniziata una vera svolta, sì ma al contrario, ovvero un’autentica inversione di marcia. Di quelle che mortificano il presente ed affliggono il futuro, esiliando le gioie dei tempi andati tra l’oscurità dei lontani ricordi. Ed i trionfi passati diventavano soltanto delle reminiscenze sbiadite e dai contorni sfumati. Nemmeno il cavallo di ritorno Allegri, autore pochissimi anni prima di numerose galoppate vincenti, avrebbe sortito il cambio di passo auspicato, così dopo 3 anni poco più che anonimi la dirigenza non pensò di meglio che virare sull’allenatore che aveva fatto grande il Bologna, facendolo riemergere dall’oblio, ovvero Thiago Motta, affidandogli la rinascita della Vecchia Signora. Ma l’ex centrocampista italo-brasiliano più che un toccasana si rivelerà per la società una pozione malefica, in grado di far collassare ogni residua speranza di rientrare celermente ai piani alti. Così arrivò Igor Tudor. Ma anche con l’ex stopper croato le note, rigorosamente stonate, non emigreranno dal pentagramma della miseria. Dopo un primissimo inizio di stagione illusorio, ecco arrivare il primo segnale d’allarme contro l’Inter, sconfitta sì, ma con un punteggio rocambolesco che anziché allietare contribuiva più che altro a mettere sin troppo a nudo le marcate deficienze difensive di una compagine che da lì a poco avrebbe evidenziato uno squilibro tattico e dei limiti tecnici volti a restringere considerevolmente le sue pretese, tanto in Campionato quanto in Coppa dei Campioni. Già la Champions. Se in Serie A nulla è ancora compromesso (il torneo è molto lungo), ed il ruolino di marcia rimane tutto sommato accettabile (quella di Como resta pur sempre la prima sconfitta), è proprio al di fuori dei confini nazionali che la Zebra rischia di già di trovarsi col muso per terra ed ogni anelito sbarrato. E a pregiudicare il proseguimento del percorso europeo sono bastate appena tre partite, due delle quali sciagurate. Prima il folle 4-4 interno col Borussia Dortmund, seguito dal deprimente 2-2 esterno col Villareal, match in cui si è sprecata una vittoria ormai in pugno. Poi il prevedibile capitombolo col Real Madrid. Un cammino del tutto inappropriato ad una big sta chiudendo anzitempo ai bianconeri la possibilità di andare lontano nella competizione più ambita e reclamata. Ed è così che oggi ci si ritrova ancora con una Juve confinata nell’atrio delle speranze mal riposte. Per una squadra che appare sempre più impalpabile, modesta ed inconcludente, inadeguata sia in Italia che in Europa, tra le mure amiche e in trasferta. E se c’è un colpevole principale da condurre al patibolo non è certo Tudor. Qui le colpe vanno addebitate in primis alla società, che dal giorno in cui ha dato il benservito a Sarri non ne ha azzeccata una. Nemmeno le mutazioni dei vertici aziendali hanno prodotto variazioni positive. Si è transitati dall’era Agnelli all’innesto di Ferrero, ma nulla è cambiato. Anzi la situazione è persino peggiorata. In questi anni di sensibile decremento qualitativo ci si è affidati regolarmente a tecnici emergenti, con pochissima esperienza (specie a livello internazionale), concedendosi come unica eccezione alla nuova incomprensibile regola adottata da Madama la minestra riscaldata di Allegri (il cui ritorno è equivalso ad una iattura). Se le preferenze per gli allenatori sono state decisamente discutibili, poco sensate e ancor meno in linea con la storia bianconera, le scelte di mercato relative ai calciatori, specie quelle in entrata, si sono rivelate puntualmente deprecabili, concedendo asilo a gente che in altre epoche non si sarebbe nemmeno azzardata a varcare le soglie del club, per delle valutazioni tecniche di natura dirigenziale a dir poco opinabili che non hanno fatto altro che aggravare considerevolmente i mali di una compagine che di anno in anno sembra gradualmente degradare di valore. A risentirne non è stato solo il rendimento nel suo complesso. Gli effetti rovinosi dell’involuzione si sono riflettuti anche in alcuni episodi molto imbarazzanti se rapportati alla storia gloriosa di Madama, emblematici del tempo difficile che sta vivendo. Mi riferisco in particolare a certe umiliazioni subite sul campo, autentiche batoste che non hanno certo reso giustizia al buon nome della squadra più titolata d’Italia. Se prima certi capitomboli erano una rarità e si perdevano tra le ombre del tempo, ormai sono diventate una sorta di abitudini da ossequiare con una certa ricorrenza. Alcune partite sono persino entrate nella storia, come la scoppola subita a Napoli nel 2022-’23, coi partenopei risultati vincitori con un perentorio 5-1. E come dimenticare il clamoroso 4-1 subito nello stesso campionato ad opera dell’Empoli? O l’impietoso 4-0 interno rimediato l’annata scorsa con l’Atalanta?

Se sino a poco tempo fa la Juventus era la raffigurazione della perfezione, oggi essa è la rappresentazione della pochezza, una sagoma approssimativa della gloriosa squadra che fu. Un club in cui regna sovrana l’incertezza, la confusione, la penuria d’idee e l’abbondanza d’inefficienza. Ogni anno è accolto come quello della svolta. Si lanciano proclami per poi accogliere reclami. Si prospetta il riscatto salvo poi accorgersi di aver compiuto l’ennesimo misfatto. Tutti attendono il vento del cambiamento per poi essere travolti da un ciclone di critiche. Tutti si aspettano l’avvio di un nuovo corso dorato, ma ad oggi l’unica cosa che la dirigenza sembra in grado d’indorare è la pillola amara che i tifosi sono regolarmente costretti a mandare giù.

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